Eroina dell’attivismo lgbtq e attrice di una serie già cult. Ma anche richiestissima top model e artista di talento. Largo a Hunter Schafer, ragazza sensibile e battagliera
La vediamo appesa al ponteggio di un edificio in restauro, a Downtown, per un servizio fotografico del New York Times. Felpa blu con cappuccio e un giubbetto “heavy-duty work” che potrebbe indossare un operaio, un minatore o un cacciatore. Il sorriso enigmatico, le specchiature dei mattoncini e della ghisa di Soho sulle sue guance bianche. Hunter Schafer si raffaellizza ad ogni scatto.
I passanti, in un pomeriggio di gennaio, guardano questa creatura viva “tra i vivi” saltare da un idrante giallo all’altro del marciapiede, tentano di interpretarne i sogni e la lunga galleria di desideri in controluce. Impossibile: Schafer è e resterà nel tempo un mix di mistero e di sacro, una stella staccata dal cielo per non svelarsi troppo e, insieme, raccontarci tutto. Di una generazione, di quell’ordigno fantasioso che è la moda, dei tragitti mentali dell’adolescenza, e di una frontiera infinita chiamata cinema.
L’impegno come priorità
La ventitreenne attrice, artista, modella, produttrice e scrittrice porta spesso con sé quaderni rilegati, pagine fitte di ritagli di riviste di moda. Una tazza di caffè in una mano, fogli per matite da disegno, pastelli e guazzo nell’altra («Quando viaggio amo dipingere osservando il mondo fuori dalle finestre degli hotel»). Gli ultimi anni per lei sono stati un turbine. Agli inizi del 2016, Chase Strangio, avvocato dell’American Civil Liberties Union, inviò un messaggio su Facebook a Hunter, allora studentessa del programma liceale della University of North Carolina School of the Arts. Strangio si chiedeva se fosse interessata ad aggiungere il suo nome come parte civile nella causa intentata dall’ACLU contro lo Stato della Carolina del Nord per il disegno di legge House Bill Two.
Dopo aver notato il suo impegno politico, il magazine Teen Vogue le ha chiesto di mettersi al tavolo con la donna-simbolo che è stata Segretario di Stato, senatrice, first lady e si è avvicinata all’elezione alla Casa Bianca, Hillary Clinton. Il clima era quello in cui la città di Charlotte approvava un’ordinanza antidiscriminazione che consentiva ai transgender di utilizzare i bagni pubblici in base alla loro identità di genere. Peccato che i Repubblicani avessero un altro piano: bloccare tutto, con procedura d’urgenza. Da quel momento, Schafer, che è transgender, farà dell’attivismo il proprio scudo civile, con lo scopo di «rappresentare altri giovani transgender della Carolina del Nord, feriti e attaccati come me, ed aumentare la consapevolezza e l’accettazione delle persone che si identificano con un genere diverso da quello assegnato alla nascita».
La bandiera della Gen Z
Pochi anni più tardi, a Hunter Schafer è proposto il ruolo di una vita, quello di Jules Vaughn, al fianco di Ruby ‘Rue’ Bennett (Zendaya) nella serie “sesso, droga e adolescenza” Euphoria. Jules e Hunter sono pianeti affini e fragilissimi: eroine romantiche, in lotta contro depressione e bullismo, superstiti nel ventre oscuro della Generazione Z. Con quei capelli biondi raccolti in uno chignon altissimo, Schafer, la più grande di quattro figli, ha sempre raccontato la storia del suo quotidiano come se fosse scritta a macchina. Con il sangue e con le lacrime.
Al magazine Harper’s Bazaar ha mostrato una collezione di diari pronti ad essere archiviati. Lei la chiama “un’autobiografia approssimativa” e presto potrebbe decidere di pubblicarla. Possiede tonnellate di diari sugli innamoramenti perduti. Custodisce tutti i suoi pensieri sulla prima transizione. Il giorno in cui ha iniziato la terapia ormonale. Le volte che la “nuova pagina” doveva girare ma non arrivava mai. Le sue mani stendono il dorso del diario per mostrare la foto di classe: «Quasi tutto quello che c’è stato prima della transizione è confuso nella mia mente» dice.
«Ma non appena ho iniziato a lavorare e ad avere un obiettivo, è stato più semplice capire finalmente tutte le parti della mia vita: da quando ero collaboratrice di Rookie (l’amata rivista online per ragazzi di Tavi Gevinson, ndr) alla prima agenzia per modelle che mi ha portato a New York. Ora sono in una fase in cui mi sento a mio agio. Sono cresciuta in una famiglia accogliente. Un privilegio. Mi hanno mostrato amore e supporto, accompagnandomi nella transizione già prima dello sviluppo del pomo d’Adamo. Per la prima volta, oggi, la vita non mi sta semplicemente accadendo».
Born to be an artist
Ancor prima di diventare famosa, Schafer mostrava già tracce di una sensibilità a fior di pelle. Alla prestigiosa University of North Carolina School of the Arts è stata premiata per la sua arte visiva, ha poi fatto pubblicare illustrazioni, fumetti e diversi scritti personali con in testa un futuro nel campo del fashion design (alla Central Saint Martins di Londra). Nel 2017 si è trasferita a New York per dedicarsi alla moda, sfilando per Dior, Gucci, Emilio Pucci e Miu Miu, tra gli altri marchi. In mezzo a tutto questo, è diventata ambasciatrice per Prada e si è difesa come la più giovane attivista trans d’America. In tasca, una grande convinzione: «Non sono solo i legislatori a prendere decisioni. È la struttura sociale che viene sostenuta da loro».
Quando il primo episodio di Euphoria è andato in onda nel giugno 2019, milioni di ragazzi, sintonizzati anima e corpo con quell’universo, hanno perso la testa per Schafer e la sua bicicletta blu Critical Cycles. «Gran parte del lavoro per incarnare Jules non è frutto di un laboratorio di recitazione. È vita. La mia», fa sapere l’artista, che vanta anche un credit extra come co-sceneggiatrice e produttrice di un episodio speciale di Euphoria. «Penso che i confini tra essere umano e personaggio siano effimeri. Il mestiere dell’attore è pura simulazione di una vita piena. Io, agli esordi, ero senza freni. Adesso ho imparato a darmi dei limiti e a rispettare il mio corpo artistico».
Sotto le luci della serie evento
La serie, condannata dal Parents Television and Media Council con un aspro “Stop HBO’s Euphoria”, è l’evento generazionale più amato dai giovani in tutto il mondo – tra i produttori, il rapper Drake – e ad affascinare è soprattutto il rapporto senza redenzione tra Rue/Zendaya e Jules/Schafer. Quel linguaggio “senza prediche” spaventa gli adulti e innamora i diciassettenni. Dipendenza, social media, famiglie interrotte: nelle parole del creatore Sam Levinson (Assassination Nation), la maggior parte degli episodi sono basati su esperienze di vita vissuta in prima persona, «l’esplorazione di un mondo che travolge parecchi teenagers, un microcosmo fatto di edonismo e perdizione. Una versione aggiornata di Kids di Larry Clark e Harmony Korine».
Prime volte e riflessione acute
La vera “kid” da tenere d’occhio è Hunter Schafer. Girl In Red (Marie Ulven) ha appena condiviso un video della sua nuova canzone hornylovesickmess, che segna il debutto dietro la macchina da presa per Schafer. In occasione del 50mo anniversario della prima parata del LGBTQ Pride, il magazine Queerty ha nominato Schafer una delle 50 eroine che “stanno guidando la nazione verso l’uguaglianza, l’accettazione e la dignità per tutte le persone”, mentre Time l’ha inserita nella sua lista Next dei “100 leader emergenti che plasmeranno il futuro”.
A W magazine, in riferimento all’odierna “cautious generation” (la generazione cauta e prudente), ha commentato: «In un certo senso sto diventando quasi un gettone, una pedina. Mi trovo in una strana sorta di piattaforma intermedia. Da una parte, l’onore di rappresentare una generazione, ma dall’altra non è nemmeno il massimo per la mia comunità. Non parlo a nome della mia gioventù nella sua interezza. Non sarebbe corretto. Sto cercando di dare coraggio ai miei fratelli trans, ai fratelli gender-nonconforming e a quelli di colore. Se mi vedrete a lungo sotto i riflettori sarà soltanto per una ragione: portare avanti le mie battaglie». Buona fortuna, Hunter.
Di Filippo Brunamonti
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