Regala perle di saggezza e battute esilaranti. 60 anni, affascinante come pochi, Hugh Grant è su Sky accanto alla Kidman. «Mi mancava giusto Nicole».
È intollerabile!». Basterebbe il suo tono critico e beffardo, e quel trio mal assortito di capelli un po’ mossi e appena brizzolati, strizzatine d’occhio intermittenti e l’accento inglese più chic che il Regno Unito ricordi, per sapere quanto libero ancora sia il pensiero di Hugh Grant, sessant’anni compiuti lo scorso 9 settembre, quarant’anni di carriera.
«È intollerabile il cinema. Intollerabili i tabloid. Intollerabile l’etichetta del rubacuori». Pausa teatrale, e giù una fragorosa risata. Seduto in una stanza d’albergo proprio di fronte a Central Park, pochi mesi prima che il mondo metta tutti sull’attenti, Hugh Grant ci accoglie così: «Aiutatemi, per favore, a smantellare il mio mito».
Hugh Grant: con Hollywood, amore e odio
Dai tempi in cui abbiamo imparato ad amarlo in Quattro matrimoni e un funerale (era il 1994 e la promessa cult recitava: “Tu saresti d’accordo di non diventare mia moglie, credi che il fatto di non sposarmi è una possibilità che in qualche modo potresti valutare, per il resto della tua vita? Vuoi?” – “Lo voglio”), agli esordi con Maurice di James Ivory e Luna di fiele di Roman Polanski, l’attore British più sexy degli anni 90 si è ritrovato incastrato in una lunga serie di commedie romantiche e ruoli che lui appunta come “lady parts”, “parti da signora”. Tra le co-star attrici del calibro di Julia Roberts in Notting Hill (1999) e Renée Zellweger in Il diario di Bridget Jones (2001), seguite da Sandra Bullock in Due settimane per innamorarsi (2002).
«Ero diventato una fantasia» ammette Grant. «Ma io sono altro, ve lo giuro! Ho recitato Shakespeare all’università, per esempio. Vi consiglio di andarvi a recuperare il mio Amleto con i costumi di Star Trek».In realtà è stata la commedia Che fine hanno fatto i Morgan?, girata nel 2009 accanto a Sarah Jessica Parker, a sancire definitivamente la fine della sua tormentata storia d’amore con Hollywood. «Fu un autentico fiasco» ricorda lui. «Tutto d’un colpo sono passato dal podio degli attori più pagati al sottoscala dei dimenticati».
Barricadero e papà
Quel senso di libertà gli ha regalato una seconda vita: la crociata contro la libertà di stampa dopo essere stato vittima di intercettazioni illegali, l’impegno politico a capo del gruppo di pressione Hacked Off e il nemico numero uno da osteggiare, il magnate dei media Rupert Murdoch. «Tutti mi davano del pazzo, ubriaco, complottista. Perché ti esponi così? Piano piano si sono accorti che non vaneggiavo. I vertici del gruppo Murdoch erano a conoscenza dello spionaggio illegale» commenterà così lo scandalo del tabloid News of the World, in un dialogo con l’attore Donald Sutherland per Interview Magazine.
Ma qualcos’altro è successo mentre Hugh Grant era lontano dai riflettori: è diventato padre per la quinta volta e, dopo la relazione con l’icona del glamour Elizabeth Hurley (per lei comprò il quadro di Andy Warhol che la ritraeva, salvo rivenderlo per 23 milioni e mezzo di dollari dopo la rottura), due anni fa ha sposato l’ex produttrice tv svedese Anna Eberstein, madre di tre dei suoi figli. «La paternità, tra i 50 e i 60 anni, è una rinascita» confessa candidamente.
«Ho sempre snobbato chi dice che una vita senza figli è una non-vita. Ora scopro che c’è della verità in quelle parole. Quando sono a sciare con la famiglia e magari ho un film in partenza, riesco persino a coniugare affetti e mestiere. Basta sapere ripassare le battute a memoria mentre pratichi sci di fondo ed è fatta. Questione di coordinazione. Quando l’ansia da lavoro mi assale, mi hanno spiegato che è meglio assentarsi un secondo e trovare un posto protetto dove poter fare un po’ di flessioni. Vi assicuro che funziona».
Per i suoi figli immagina un futuro da divi sul tappeto rosso? «Divieto assoluto! Avrò visto una o due recite scolastiche dei più grandi e, grazie al cielo, non c’è alcuna traccia di talento. Non sono proprio portati». Mentre prendo appunti acquista fiato ed esclama: «Mi piace la sua grafia. Vagamente schizofrenica». Ma torniamo all’elenco, sentimentalmente sbullonato, di celeb con cui ha avuto il privilegio di lavorare: Julia, Renée, Sandra, Sarah Jessica. «Mancava solo Nicole».
La parola all’amica Nicole
Nonostante siano amici da anni, la serie evento The Undoing, (ora su Sky Atlantic e Now TV), è stata l’unica in grado di unire Nicole Kidman e Hugh Grant. Lei interpreta una psicoterapeuta di Manhattan, lui un oncologo. «Hugh ha un rapporto di amore-odio con il proprio mestiere; credo sia perché, in questa industria, è difficile trovare il giusto equilibrio tra umorismo e capacità drammatica» fa notare. «Non so da dove arrivi l’idea che io sia un romanticone. Quelli sono i miei vecchi film, aggiornatevi» ribatte Grant. «Se fossi sempre lo Hugh innamorato di Love Actually, in cui facevo il Primo Ministro del Regno Unito, non sarei umano. Non credo all’amore a prima vista. Forse mi ritraggo più come un tipo da soldi e potere. Credo siano questi gli elementi che attraggono uomini e donne».
Un jukebox col pallino dell’arte
Cinismo a parte, «gli ultimi anni della mia carriera sono stati uno spasso. Ho interpretato l’ex leader del partito liberale inglese Jeremy Thorpe nella miniserie A Very English Scandal (nomination all’Emmy e al Golden Globe, ndr). Hugh ha trovato nel regista Guy Ritchie l’alleato ideale per dare vita a un investigatore corrotto, braccio destro del boss di un tabloid, nel film The Gentlemen (su Amazon Prime Video).
«Mi piace tutto ciò che è “yin and yang” e diverso da me. Guy, vista la mia guerra alla stampa inglese, per provocazione voleva farmi interpretare il direttore del tabloid. La mia mania sono le imitazioni. In passato, doppiavo ridicoli spot televisivi divertendomi a mutare stile e tono dietro il microfono» ricorda. «Non avrei mai pensato di recitare né di fare lo stesso personaggio venti volte in vent’anni. Ero diventato un jukebox. Anche se in realtà la mia vera aspirazione era quella di diventare uno storico dell’arte, tutto qui».
La calma innanzitutto
Una sua ossessione? «Ne ho più di una. Federico Fellini è tra queste. Poi c’è il sogno di realizzare un documentario su mio nonno che ha combattuto con l’esercito britannico durante la seconda guerra mondiale». Lo sport – Grant è sempre stato appassionato di cricket e football – gli ha insegnato che, sul set e nella vita, non bisogna mai circondarsi di persone che portino scompiglio o trasformino tutto in un “fottuto inferno”. «Amo la concentrazione e la calma. Detesto la paura. La paura è contagiosa ed è il male del secolo».
Punto debole? I fianchi
Ma esiste qualcosa che proprio Hugh Grant non sa fare? «Certo», risponde con una scintilla negli occhi. «Ho scoperto di essere un’autentica schiappa nel ballo. Per me è un po’ come guidare dal sedile posteriore. In Love Actually, per dar vita alla scena da ballerino sulle note di Jump (For My Love)delle Pointer Sisters mi hanno messo accanto il coreografo di Britney Spears. Niente, non usciva un briciolo di espressione dai fianchi. Lì ho scoperto di essere un comunissimo uomo inglese di mezza età. Bene, ricomincio da questa presa di coscienza. Vediamo dove andrò».
Di Filippo Brunamonti – foto Getty Images