30 March 2020

Francesca Michielin: «Il confronto con gli altri? È il mio stato di natura»

Francesca Michielin ci racconta il suo nuovo album, una raccolta di stili e collaborazioni eccellenti il cui mantra è: le differenze ci riempiono

 

Nonostante l’emergenza Coronavirus, Francesca Michielin accetta di posare per la copertina di Tustyle, in una Milano semideserta, qualche giorno prima della chiusura totale della città. «La musica non si deve fermare, neanche in una situazione diversa da tutto ciò a cui siamo abituati». La cantautrice veneta ha annullato la conferenza stampa per il lancio del suo nuovo album Feat (Stato di Natura) uscito il 13 marzo, e questa intervista l’abbiamo fatta al telefono: «Ho azzerato la mia socialità ma in queste settimane ho continuato a lavorare, anche se a porte chiuse».

Del resto per una nativa digitale come lei (ha da poco compiuto 25 anni) reinventare la routine è facile, anche quando questo vuol dire riprogrammare in versione streaming due dei tre set live organizzati per introdurre il disco. Uno è andato in diretta su Facebook, l’altro è passato via etere dalla Triennale alla piattaforma di RaiPlay: «Abbiamo cercato di realizzare gli eventi in forme diverse ma comunque coinvolgenti. Per me sono state delle performance strane, mi mancava la risposta energetica del pubblico, avevo persino paura di dimenticare le parole ma invece è andato tutto bene».

Questo disco è un viaggio attraverso due mondi, quello della natura e l’urban. Spiegaci meglio.
«Arrivavo da un album estremamente personale (2640 del 2018, ndr) e molto iconico per il periodo che avevo vissuto. Non volevo ripetermi e seguire lo stesso filone, per questo ho deciso di tentare con un progetto nuovo, un collettivo che convogliasse energie diverse. L’album è frutto di una volontà precisa, quella di sperimentare ancora di più. Ho chiamato produttori e artisti di generi differenti, alcuni brani sono nati in studio, altri li ho proposti io come Monolocale (il feat. è con Fabri Fibra, ndr) perché li immaginavo già con un certo cantante».

Il risultato sono 11 featuring in cui si alternano l’indie, il funky, il blues. C’è anche una tua vocalità inedita.
«Sono sempre stata grande fan di artisti come Lady Gaga che sanno spaziare in qualsiasi genere. Così ho cercato di recuperare gli stili e i movimenti musicali che ascoltavo da piccola, ma che avevo accantonato. Dentro Gange, per esempio, c’è un refresh dei rapper di fine anni 90 che guardavo a Top of the Pops; in Monolocale ho ritrovato il gospel da cui sono partita (da piccola cantava in un coro, ndr); mentre in Riserva Naturale c’è tutto il mondo di Annie Lennox».

Fino ad arrivare al nuovo singolo, un pezzo bomba: Stato di Natura, in duetto con i Måneskin.
«È il brano che c’è nel titolo dell’album perché affronta l’attualità: la violenza verbale, l’aggressività, la prevaricazione. Mi chiedo dov’è il confronto con gli altri e se non siamo tornati allo stato di natura, usando un’espressione emblematica per molti filosofi, che lo identificavano come un periodo senza regole, in cui gli uomini si facevano la guerra tra loro».

Come sei arrivata alla collaborazione con i Måneskin?
«Da ragazzina ero una fan sfegatata di Rage Against the Machine (gruppo rap metal nato negli anni 90, ndr) e ho sempre sognato di sperimentare il loro modo di fare musica (l’heavy metal si mixava al funk, al rock e al pop, ndr). I Måneskin in Italia sono forse l’unico gruppo che ha la credibilità per fare questo genere, nel senso che sono rockettari ma il frontman Damiano ha anche una grande cultura rap. A lui ho chiesto di riscrivere delle strofe: nel pezzo c’è anchemuna riflessione sulla strumentalizzazione del corpo della donna. Volevo una prospettiva maschile».

Tutt’altra aria quella di Monolocale…
«Quello è più un gioco: mi sono messa nei panni di una ragazza che sta con uno che da artista alle
prime armi diventa in poco tempo una superstar. È un po’ il contrario di quello che è successo
al mio ex ragazzo quando io sono diventata famosa. E la dimensione del monolocale è esattamente quella di chi arriva dalla provincia: passi dalla bifamiliare con giardino al piccolo rifugio nel
centro di Milano».

È successo anche a te?
«Sì, ho scritto la canzone quando finalmente mi sono trasferita a Milano, in un monolocale bellissimo in Porta Ticinese. Ci ho passato un anno meraviglioso. Ma poi ho capito che sono più una tipa da NoLo (a nord di piazzale Loreto, ndr). È una zona multietnica, perfetta per chi ama la vita di quartiere».

È qui che hai ritrovato l’amore o sei ancora single?
Ride (ndr). «No, dai, non chiedermi. E comunque per scaramanzia non dico nulla!».

Ricevuto, cambiamo argomento. Che ricordo hai di quando eri piccola?
«Ho avuto la fortuna di crescere all’interno di una comunità multietnica: a Bassano del Grappa c’era
un centro migratorio in cui si ritrovavano brasiliani, filippini, centroafricani. Io sono sempre stata lì a bazzicare, sono entrata in contatto con un altro senso di famiglia, di tempo, un modo diverso di concepire l’insieme, e questa cosa mi ha ispirato un senso di gratitudine, di speranza, di dignità che ogni tanto si perde. Lo dimentichiamo spesso, ma le differenze sono belle perché ci riempiono».

Quanto equilibrio cosmico c’è nel tuo lavoro?
«Tanto. Per ogni progetto, per esempio, scelgo dei colori chiave, spesso legati alla natura, che è il tema ricorrente oltre al mondo urbano. Per questo disco ho voluto il viola che sfuma verso il rosso, perché il viola rappresenta le cose che stanno mutando, anche quelle che stanno per morire ma che poi rinascono e il rosso è proprio il colore dell’energia. Sono tonalità che raccontano bene questo passaggio».

Sei molto meticolosa in ciò che fai.
«Lavoro tantissimo, ho sempre studiato, considero la tendenza a migliorarsi necessaria perché il talento è un dono del cielo: ognuno deve capire qual è il proprio e lavorare per fare sempre meglio. Per il bene di tutti».

Anche la tua immagine è cambiata in questi anni, ora hai un’estetica molto contemporanea.
«Il bello e il brutto di cominciare da giovani è che il tuo corpo cresce con te ed è sempre diverso. Te ne rendi conto presto, o nel mio caso tardi, ma il corpo ti serve, ti aiuta a muoverti bene, a cantare, e devi rispettarlo. Io sono attenta a quello che mangio, penso che il cibo non debba mai essere privazione, e che sia invece energia, comunità, convivialità. Una buona festa di compleanno, quando sarà possibile tornare a festeggiare, fa bene all’anima e chissenefrega del metabolismo».

Ti ritrovi nella generazione Greta Thunberg?
«Assolutamente. La mia generazione sta vivendo delle emozioni nuove rispetto al passato, c’è un tema molto complesso legato allo spreco e che parte dalla filosofia dell’iper-produzione: quando ero piccola non potevi avere sempre tutto perché alcune cose erano speciali, ma oggi non è più così e questo provoca una sorta di egoismo sociale. Dovremmo tutti rallentare un po’».

A proposito di relax, è vero che sei andata a fare surf in Portogallo?
«Sì, è meglio dello yoga, è il mio sport. Il mare per chi è nato in montagna ha un’attrazione forte e io sono cresciuta con il mito dei surfisti californiani, compresi i Red Hot Chili Peppers. Ma il bello del mare è che dipende tutto dalla giornata, dalle onde. Quando fai surf devi essere paziente, e non puoi pensare a nient’altro che a quello che stai facendo».

Ti vedremo live il 20 settembre al Carroponte di Sesto San Giovanni, Milano. Che show ci aspetta?
«Nelle prossime settimane iniziamo a lavorarci. Sarà un unicum, una data speciale che per me ha un sacco di significati. Un po’ perché da piccola anch’io andavo al Carroponte, soprattutto a settembre. Poi è la fine dell’estate, l’ultimo giorno, un’occasione simbolica e una scusa per fare una grande festa».

Di Rachele De Cata