28 October 2015

Colin Farrell: «L’amore? Ci credo, ma non sempre ci sto dentro»

Basta chiedergli dei suoi tatuaggi per scatenare un vero “Colin Farrell show”. «Li ho fatti 15 anni fa, quando ero sempre ubriaco: figuriamoci se mi ricordo che cosa significano!» ride. Poi chiede tutto serio: «Lei perché non ne ha?». E qui inizia un dibattito surreale, neanche ci fossimo incontrati in un tattoo-shop. Col passare degli anni ci si può pentire… La pelle si sciupa e il disegno pure… Ed ecco che Colin scatta, quasi come in Miami Vice, e si illumina di un suo eureka interiore: «Idea! Si faccia tatuare, chessò, sul braccio, delle linee lontane tra loro. Così, quando la pelle si raggrinzirà, si uniranno a formare un disegno» e ride ancora di più.

Che fosse un simpatico spaccone lo dice già il suo curriculum di risse e bevute giovanili, ma a incontrarlo il 39enne attore di film d’azione (Total Recall) e titoli indie (In Bruges, 7 psicopatici) batte la sua stessa leggenda: non solo è schietto come mamma Irlanda l’ha fatto, ma ha ironia e irriverenza in dosi da premio Oscar. Trovarlo così scattante, verbalmente e fisicamente, fa ancora più effetto dopo averlo visto, ingrassato e imbruttito, nella seconda serie di True Detective (già andata in onda su Sky) e nell’ultimo film uscito nelle sale: The Lobster di Yorgos Lanthimos (Premio della giuria al Festival di Cannes) si svolge in un immaginario futuro dov’è obbligatorio vivere in coppia. Chi resta single viene costretto a trovare un partner entro 45 giorni, pena la trasformazione in un animale a sua scelta (nel suo caso, l’aragosta del titolo). Lui interpreta David, un uomo triste di mezz’età che riesce a scappare ma finisce tra i ribelli, dove vige il diktat opposto: lì ogni coppia è bandita. L’amore a sorpresa arriverà, ma fuori da qualsiasi regola.

Fantascienza a parte, non le sembra che il mondo sia davvero diviso tra chi è fatto per la vita di coppia e chi preferisce restare single?
«Tutti noi siamo condizionati da progetti e ideali, che poi la vita ci scombina. C’è chi crede nel matrimonio e si sposa prestissimo, ma poi si stufa e dice: “Fanculo, voglio stare per i fatti miei”. E chi ha sempre voluto la libertà, ma poi scopre di sentirsi solo, cerca l’anima gemella, magari per separarsi ancora in futuro. Le combinazioni sono infinite, l’importante è che ognuno abbia la libertà di esprimersi nei sentimenti».

Pensa sia questo il senso del film?
«The Lobster è complesso e misterioso: non si può ridurre a una dichiarazione pro-coppia o pro-single. È una storia simbolica, che scava nelle paure e nelle emozioni profonde della vita sentimentale».

Lei è cresciuto nella cattolica Irlanda: si è sentito condizionato dal culto della famiglia?
«Non è più come una volta, neppure da noi. Nessuno mi ha mai spinto a seguire una strada di cui non fossi convinto per primo. Però ho sempre creduto nell’amore. Penso che sia un valore riuscire a condividere tutto con una donna. Difatti ci ho provato, ho avuto molte relazioni».

Da qualche anno è single, però: una scelta precisa?
«No, è un periodo così. Sarà perché sto lavorando tantissimo e faccio meno vita mondana. E poi non sempre ci sto dentro, nella coppia: quando ti innamori è tutto facile, mi viene la pelle d’oca solo a pensarci. Dopo diventa fatica quotidiana, vita da trincea. Quando vedo chi ce la fa, chi riesce per anni a essere onesto con l’altro e con se stesso, provo grande ammirazione. Penso: “Wow, lavoro sacrosanto”».

Quasi un’utopia?
«Diciamo che vedo intorno a me quanto lavoro ci voglia per tenere in piedi una coppia».

O forse nell’ambiente hollywoodiano è più complicato costruire relazioni sincere e profonde…
«Per certi versi, sì. Molti rapporti  restano superficiali, c’è gente che tiene più al successo che alla qualità delle amicizie. Io vivo a Los Angeles da una quindicina di anni e ho amici importanti quanto la famiglia. Saranno una dozzina in tutto, ma farei qualsiasi cosa per loro».

E poi ha un figlio di sei anni, Henry Tadeusz (avuto dall’attrice Alicja Bachleda, ndr). Diventare padre l’ha cambiata?
«Sì, ho dovuto imparare ad aprirmi al cambiamento. È come per la coppia: avere un figlio è naturale, ma sta a te coglierne gli aspetti positivi per crescere».

Lei ha messo la testa a posto…
«Beh, non sono più fuori di testa come una volta».

Non le manca l’Irlanda e la gente che frequentava lì?
«Ho ancora i vecchi amici lì e li vedo ogni tanto, ma se ho momenti di nostalgia sono più per i miei vent’anni, per certe notti passate insieme. Detto questo, sto bene a Los Angeles e ormai ho lì quasi tutta la famiglia, mia madre, mio fratello, mia sorella e il cognato, una nipote».

Lì ha anche girato True Detective. È stata dura rispetto a un film per il cinema?
«È come girare uno molto più lungo. E anziché essere atletico, ho dovuto ingrassare parecchio».

Anche in The Lobster è sovrappeso, sembra anche più vecchio.Cambiare così tanto non è un colpo alla vanità?
«Al contrario, è questo il vero vanto di noi attori: sapersi trasformare quando è necessario. Ingurgitare ottomila calorie al giorno di schifezze per poi guardarsi la pancia e dirsi: “Evvai, bel lavoro!” Pensi che mandavo anche foto-souvenir agli amici… Ed è affascinante usare il corpo come un laboratorio: vedere quanto l’aspetto incida sulla tua psicologia, il modo di parlare, i movimenti».

Non è mai, neppure per un istante, inorridito davanti allo specchio?
«Diciamo che cercavo di ricordarmi come sono normalmente! Purtroppo poi ci ho messo un po’ a uscire da quella gabbia di ciccia!».

Valeria Vignale @vavign