Selvaggia Lucarelli: «Sono una scrittrice donnista»

13 May 2014

Autrice e conduttrice. Blogger, icona sexy e opinionista. Sul web Selvaggia Lucarelli è uno dei personaggi più amati, con quasi 500.000 seguaci tra facebook e twitter. Dopo l’esordio con Mantienimi. Aiutami a preservare la mia moralità (Mondadori, 2004) arriva Che ci importa del mondo (Rizzoli, € 18,50; e-book € 9,99), scanzonata favola metropolitana che racconta il sudoku quotidiano delle quarantenni 2.0.

Viola, mamma single 38enne, opinionista di successo, fa lo slalom tra improbabili vip e nip, a caccia della metà della mela, che il più delle volte si rivela marcia. Lo sfondo è una Milano da bere ormai ubriaca, in cui ogni rapporto umano è scomparso, o comunque filtrato da e-mai, sms e “whatsappate”.

La domanda sorge spontanea: quanto c’è di autobiografico nell’anti-eroina Viola?
«C’è molto di me, e poco della mia vita. Viola sono io per indole, per la contraddizione latente che c’è in molte donne forti: siamo coriacee e indipendenti e questo lancia un messaggio distorto al mondo, ovvero che non abbiamo bisogno di attenzioni e cura. Così troviamo spesso uomini pavidi o sciatti. Viola è me anche nel buffo ma profondissimo rapporto con suo figlio Orlando, e per le ferite profonde che si porta dietro. Però Viola ha una vita molto più intensa della mia, e soprattutto incontra l’uomo che qualsiasi donna meriterebbe di incontrare. Io per ora ho incontrato molte magagne, quindi il libro, più che catartico, e’ un’aspirazione».

Sul web gli uomini la amano e le donne la stimano. Le motivazioni degli uomini sono facilmente intuibili, ma si è data una spiegazione sulla simpatia del pubblico femminile nei suoi confronti?
«In realtà piaccio molto di più alle donne che agli uomini. Le donne mi fermano per strada, mi riempiono di affetto, mi scrivono come se fossi la loro vicina di pianerottolo. Probabilmente fiutano il fatto che non sono competitiva e si riconoscono nella mia vita imperfetta. Sono un personaggio pubblico ma racconto la vita normale di qualsiasi donna che fatica ad incastrare figli, lavoro e vita privata, senza aver timore di sembrare anche vagamente sfigata. Alcune mie amiche mi rimproverano perché lamento il fatto che con gli uomini mi vada malissimo, dicono che dovrei tirarmela o creare un alone più criptico intorno a me, ma non ce la faccio. Comunque, la condivisione sui social del mio sfascio sentimentale allevia la pena e alla fine è più sana di un DVD di Bridget Jones e una vaschetta di stracciatella».

Nel suo libro (ndr. che mi ha fatto sinceramente divertire) lei è caustica sui rapporti di coppia e considera la maggior parte degli uomini ancora ai primi stadi evolutivi. Si considera una femminista 2.0?
«La parola femminista è vetusta e polverosa. Io mi sento “donnista”, nel senso che amo le donne-donne, quelle che sanno essere complici, empatiche, generose e che mantengono grazia e femminilità. Non amo le femmine a prescindere, e ci sono anche esponenti di sesso femminile che mi fanno vergognare di essere donna, per cui non mi sento una paladina per partito preso. E poi, mentre nel lavoro aspiro alla parità assoluta, nel rapporto di coppia ogni tanto mi piace fare un passo indietro e tornare ai vecchi ruoli, che non vuol dire l’uomo con la clava e la donna a casa che tiene il fuoco acceso. Vuol dire lasciarsi guidare, prendere, corteggiare, e anche essere un po’ geisha nei momenti giusti».

La sua presentazione sui social recita: “Molti scheletri nell’armadio. Ma piegati bene”. Novità positive sul fronte sentimentale?
«Oggi dico “piegati bene” perché, finalmente, ho smesso di farmi del male in relazioni che somigliavano di più alla malattia che all’amore. E da due anni mi sento pronta ad amare nella maniera più sana, generosa e allegra, perché l’amore sano è gioia e condivisione. Però crescendo sono diventata anche molto esigente, selettiva, non transigo più: o una nuova storia mi arricchisce e mi fa sentire migliore, o l’amore per mio figlio e il mio lavoro non hanno bisogno di altro. Che poi e’ il pericolo dello stare bene e a lungo fuori da una relazione: finire per bastare a se stessi. Per ora, comunque, sto lavorando molto a convincere un uomo fantastico che sono la donna della sua vita e non del suo weekend. Vediamo come finisce».

È stata criticata per aver dato in pasto al pubblico la sua vita privata nei reality-show e non solo. Ma il successo nello “showbiz” passa necessariamente attraverso la sovresposizione?
«Ognuno ha una storia a sé. Nel mio caso un certo tipo di televisione mi ha allontanata dalle mie reali capacità e aspirazioni. Pensi che andare in video a sputare sentenze sia un peccato veniale, “un modo innocuo per farsi conoscere”. Ma farsi conoscere in una veste che non è la tua non è poi così innocuo. Crea, appunto, pregiudizi. Ti appiccica addosso un’etichetta. E questo è un Paese che riserva l’oblio a grossi reati e memoria infinita a qualche apparizione di troppo da Barbara D’Urso».

Quindi ha deciso che da oggi farà solo la scrittrice?
«Vado molto meno in televisione e in questo periodo mi sento una donna che coltiva il folle amore per la scrittura, con passione e serietà. E che per coltivarla ha dovuto piegare la sua parte caotica e disorganizzata per imporsi disciplina e rigore. Mi sento una donna che ha impiegato un po’ a capire quale fosse il suo centro ma, dopo qualche sbandata e avvitamento su se stessa, ora si sente finalmente centrata e felice».

[Foto: Marina Alessi]

di Eleonora Molisani @NaturalBornRaw