10 curiosità sul backstage del film “Everest” con Jake Gyllenhaal
Il film Everest, con Jason Clarke, Jake Gyllenhaal e Keira Knightley, secondo al box office italiano dopo Inside Out nello scorso weekend, racconta la vera storia delle guide alpine Rob Hall (Clarke) e Scott Fischer (Gyllenhaal) travolte da una tempesta, nel maggio 1996, con sei degli scalatori partiti con loro per raggiungere la vetta più alta del mondo (8.848 metri). In 3D, con una visione spettacolare della montagna ad alta quota, non è solo la storia di uomini che sfidano la natura, ma dell’amicizia che nasce tra chi vive insieme un’esperienza forte e delle motivazioni profonde che spingono chiunque di noi a darsi una meta, nella vita.
Le 4 location del film. Il film non è stato girato soltanto sull’Everest, ma sulle Alpi italiane della Val Senales, a Cinecittà e nei Pinewood Studios nel Regno Unito. Le scene principali in Nepal sono riprese a 5000 mt. d’altezza, ma alcuni dei protagonisti sono stati portati fino a 7000 metri in elicottero. In studio, la creazione di un congelatore gigantesco ha permesso di creare della neve autentica per coprire i loro volti (ma si è usato qualche volta anche il sale grosso).
La squadra. Sul set c’erano 180 persone provenienti dal Regno Unito, dalla Nuova Zelanda, dall’Australia, dalla Germania, dall’Italia, dagli Stati Uniti, dall’Islanda e dal Nepal.
La vera tempesta durante le riprese. In Sud Tirolo, dove il cast ha lavorato a -30°, la produzione è stata anche colpita da una delle nevicate più intense della storia, che ha sepolto il set costringendo tutti a ricostruirlo. Ha raccontato l’attore Jake Gyllenhaal: «È stato straordinario guardare la troupe al lavoro a 3657 mt. di altezza sotto una tempesta, gli Sherpa che trasportavano grandi ventilatori sulla schiena, le macchine da presa appese agli elicotteri, e tutti noi che portavamo in cima le nostre cose ripassando i dialoghi 15 minuti prima di ogni ripresa…».
Gli Sherpa. 11 veri scalatori nepalesi hanno fatto parte della troupe, allestendo la cucina come avrebbero fatto al vero Campo Base e cucinando spesso il dal bhat, il piatto tipico Sherpa composto da uno stufato di lenticchie con il riso.
L’allenamento degli attori col simulatore. «Josh Brolin e io abbiamo deciso di stare più a lungo del previsto, 10 minuti nel simulatore di altitudine che ci ha portato “artificialmente” a quota 7000 metri per sentire sulla nostra pelle cosa si prova a quelle altitudini» ha raccontato ancora Jake Gyllenhaal. «All’inizio ci sembrava di gestirla bene, scherzavamo pure sul fatto non era poi così pericoloso… poi siamo usciti e ci siamo sentiti malissimo! C’era poco da scherzare…».
Keira Knightley e la vera protagonista della storia. L’attrice inglese interpreta Jan Arnold, la scalatrice moglie di Rob Hall che non partecipò alla missione perché era incinta. Momento clou del film è proprio l’ultima, disperata telefonata tra lei e il marito, durante la tragedia. Rimasta sola, ha poi avuto una figlia, Sarah, 19 anni, che ha visto il film al festival di Venezia con lei. E alla fine è scoppiata in lacrime.
Chi erano Rob e Scott, di cui si racconta la storia. Due alpinisti che avevano trasformato in business la loro grande passione. Rob Hall (Jason Clarke), australiano, tipo molto serio e controllato, aveva creato la Adventure Consultants e portato con successo 39 alpinisti fino alla cima dell’Everest, prima del 1996. Scott Fisher, un po’ più fricchettone (un Jake Gyllenhaal capellone), era il suo “rivale” americano con la Mountain Madness.
Il sopravvissuto. Beck Weathers (interpretato da Josh Brolin) è sopravvissuto alla tragedia miracolosamente: rimasto a temperature sottozero per 18 ore, con un vento che soffiava a 80 miglia l’ora, ha perso il braccio destro, il naso, le dita ed il pollice della mano sinistra per congelamento.
I libri che hanno raccontato l’impresa. Il film si è basato soprattutto su due titoli: Aria Sottile è il bestseller di Jon Krakauer, giornalista che aveva partecipato alla missione per raccontarla sulla rivista Outside. Mentre A un soffio dalla fine è la testimonianza del sopravvissuto Beck Weathers. Sono entrambi editi in Italia da Corbaccio.
L’idea del regista islandese. Baltasar Kormákur, già regista di The Deep (storia dell’unico sopravvissuto di una barca da pesca capovolta al largo della coste islandesi) dice: «Mi piace raccontare la storia di persone che sfidano la natura, un modo per conoscersi a fondo. Per esperienza so che puoi conoscere davvero anche gli altri, i tuoi amici, solo condividendo esperienze difficili. L’Everest è una metafora per qualsiasi forma di ambizione».
Valeria Vignale @vavign