Dopo il successo di Capita a volte che ti penso sempre, Gio Evan, uno dei poeti più seguiti della rete, torna in libreria con Ormai tra noi è tutto infinito (Fabbri, € 16)
Gio Evan appartiene a una nuova generazione di poeti: giovani, irriverenti e spinti da un’inedita urgenza comunicativa che, grazie anche ai social network, hanno liberato i versi dal recinto elitario in cui erano confinati. Con Gio Evan la poesia raggiunge la carta stampata dopo aver percorso e abitato le strade, essersi impregnata della polvere che le ricopre e delle storie che le animano.
Sì, perché Gio ha vissuto con gli sciamani, viaggiato per 8 anni in bicicletta, camminato per 3000 chilometri. Ha appena pubblicato il suo primo album musicale, Biglietto di solo ritorno, ed è tra i pochi che può permettersi di tenere il pubblico con il fiato sospeso per due ore in un reading di poesie.
Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita dell’antologia Ormai tra noi è tutto infinito, tra una data e l’altra del suo fortunato tour teatrale tra Torino, Roma, Napoli e Milano (con il gran finale del 6 maggio al Circolo Arci Ohibò, alle 21).
Scrittore e poeta, filosofo, performer, cantautore, artista di strada. In quale di queste definizioni ti riconosci di più e perché?
«Dove andrebbero mai le gambe senza il tronco? Cosa avrebbe da dire la voce senza l’esperienza delle mani? Tutto quello che sono scaturisce da me in mille forme, esattamente come i fiumi raggiungono, ognuno a suo modo, lo stesso mare. Non mi riconosco nelle definizioni, sono loro a definirmi, ovvero a prendere definizione e profilo in me. Io sono solo a loro disposizione – le amo – e loro, sentendosi accolte da me, mi usano per raccontarsi».
Nel mondo fluido della comunicazione di oggi per sfondare bisogna essere multitasking?
«Non posso dirlo, non ho esperienze che non siano poliedriche, non sono mai stato una sola cosa, non so cosa si provi. Ma credo che tutti, nella vita, non solo per “sfondare”, come dici tu, dovrebbero essere poliedrici. Non bisogna accontentarsi di essere una sola cosa, di fare una sola cosa, così non facciamo altro che limitare la nostra infinità. Perfino l’allodola più pigra, quando si tratta di andare verso il sole, migra».
A che età, come e perché hai deciso di diventare Gio Evan?
«Sono sempre stato Gio Evan, anche quando non ne ero a conoscenza. Fin da subito ho vissuto la mia vita nel nome dell’arte. Il nome invece nasce in Argentina, da uno sciamano che mi ha voluto “battezzare”. Ho deciso di partire perché è così che faccio quando ho voglia di risposte, di nuove domande, di nuove conoscenze».
“Ho passato anni a praticare silenzi, e meditazioni, e digiuni, e rituali estremi, fino all’annullamento del mio vecchio me stesso”. È la lezione più importante che hai appreso dagli sciamani? E aggiungi che il tuo modello è Gesù. Perché?
«Sono domande talmente belle che dovremmo fare un’altra intervista a parte per questo, non trovi? [sorride]. Tra le molte lezioni apprese, non dimenticherò mai quando raggiunsi la consapevolezza della responsabilità del concetto di eternità. Ma da raccontare è davvero una storia troppo lunga, se non eterna. Mentre Gesù, beh, si spogliava quando avevi freddo, inventava cibo quando avevi fame, camminava e parlava d’amore, e baciava i malati, guarendoli. Conosci uno più bello e ribelle di lui?».
Ora che tutto è già stato detto, bisogna dirlo con parole nuove. Pensi che il tuo successo sia soprattutto dovuto al fatto di aver dato alle parole nuovi sensi, sfumature, orizzonti?
«Diciamo che questa mia particolarità è stata la mia chiave di (ri)volta. Nel mondo in cui viene messo in primo piano il “Tutto”, il ribelle cerca i dettagli».
Che cosa sogni oggi che sei stato capito?
«Ti rispondo secco, ok? Voglio conoscere Nanni Moretti!».
Eleonora Molisani @emolisani
foto di Piermarino Scoccia