Intervista a Annalisa Monfreda, autrice di “Come se tu non fossi femmina”

14 maggio 2018

Come se tu non fossi femmina (Mondadori, € 16) esordio alla narrativa di Annalisa Monfreda, direttore di Donna Moderna e Starbene, è un saggio romanzato sulla responsabilità di educare una figlia femmina. Un avvincente viaggio di formazione in 50 “lezioni”, scritto come un Thelma & Louise familiare e tenerissimo, per essere donna oggi.

 

Papà deve lavorare e la tentazione di mamma è lasciar perdere quella vacanza on the road in Croazia progettata da tempo. Poi la decisione di partire: sarà un’occasione per condividere tempo ed esperienze con le due figlie di 7 e 10 anni. 
Annalisa Monfreda, direttore di Donna Moderna e Starbene, in Come se tu non fossi femmina, stila una lista di 50 insegnamenti che vorrebbe accompagnassero le sue due ragazze nella crescita. Un viaggio reale e metaforico nell’avventura esaltante di essere donna oggi, fuori da limiti e stereotipi.

Perché hai scritto questo libro?
«Quando me l’hanno proposto non ho esitato ad accettare. Ho pensato che ci fosse un urgente “bisogno sociale” di parlare di educazione di genere. Esiste molta manualistica all’americana ma ci voleva qualcosa di più adatto alla nostra realtà. La parità è tutt’altro che raggiunta! Però volevo anche che non fosse un noioso manuale, quindi ho cercato di conciliare le “lezioni” con la parte narrativa, una vacanza on the road, per la prima volta da sola con le mie due figlie».

La tua è una visione ottimistica. Un nuovo femminismo, libero da aggressività e rivendicazioni…  

«Penso che sia un momento bellissimo per essere donna. Dobbiamo essere delle outsider, abbiamo finalmente la possibilità di mettere in atto un cambiamento profondo della società. Dobbiamo dimenticare gli stereotipi e comportarci in modo deciso ma sereno. Non omologarci ai comportamenti maschili, cambiare le regole a casa, nel lavoro, nelle relazioni. Senza paure e pregiudizi. Gli uomini più “maturi” sono già cambiati, ci seguono. Il resto, pian piano, migliorerà, sono fiduciosa».

L’esempio è il vero insegnamento, che va oltre le parole. Non è facile educare un figlio, far comprendere quel sottile crinale che sta tra il rispetto delle regole e l’indipendenza intellettuale, il coraggio di dire la propria per tutelare la dignità. Un tema tristemente attuale…
«Fare la morale ai figli non serve a molto. E ancora meno predicare bene e razzolare male. Io cerco di dimostrare alle mie figlie che cosa significhi essere coerenti e costanti, diffidare dei sogni ma lavorare tutti i giorni per realizzare i propri desideri, farlo rispettando sé stesse ma senza ledere mai la dignità e l’interesse degli altri. I miei genitori erano persone semplici, hanno parlato poco ma mi hanno insegnato molto con il loro comportamento. Le mie figlie vedono che io mi ostino sulle cose, anche a prescindere dai risultati. Che coltivo le mie passioni. Poi magari le loro passioni saranno altre, ma quello che conta è trasmettere il messaggio».

Scrivi che ammettere di essere ambiziose non è un male.

«Ho fatto fatica ad ammettere di essere ambiziosa. Ma non dobbiamo avere paura di essere ambiziose, se ambizione significa ostinazione, caparbia, impegno, superamento dei propri limiti, desiderio di fare bene ciò che sappiamo fare, esprimere i nostri talenti. Si può essere ambiziosi anche senza essere competitivi, anzi guardando gli altri per ispirarci a loro, lavorando con loro in empatia, circondandosi sempre di persone convinte che tutto è possibile se si va tutti nella stessa direzione».

Dici alle tue figlie: «La bellezza è la messa in scena migliore della propria autenticità».
«Dico loro che devono scegliere come vestirsi e comportarsi in modo libero, senza pensare ad assecondare i desideri o i gusti altrui. E, quando lo fanno, le premio dicendo loro: “Sei bellissima!”. Non ho mai imposto giochi, ruoli o abiti femminili, sono cresciute vedendo che in famiglia anche io e mio marito viviamo i nostri ruoli in modo spontaneo, senza rigidità. Credo che in questo senso siano molto meno liberi i figli maschi: guai a farli giocare con una bambola. Certe debolezze all’uomo non vengono concesse né perdonate».

Letture e viaggi sono ancora nutrimento per l’anima? Amplificatori di conoscenza, creatività, cosapevolezza, spirito di avventura?
«Con le mie figlie da sempre condividiamo la lettura di storie e avventure, e ascoltiamo insieme gli audiolibri durante i nostri viaggi. I viaggi in giro per il mondo, invece, a volte per loro sono faticosi, si sentono in trincea, preferirebbero stare con gli amici a giocare su una spiaggia. Ma attraverso quei viaggi stanno imparando a confrontarsi con diverse realtà, e io cerco di stimolarle non tanto al confronto ma a cercare similitudini con bambini di altri posti. Capire di essere fortunate aiuta a comprendere anche come e perché possiamo essere felici di quello che abbiamo e che siamo».

Domanda al direttore di Donna Moderna, settimanale che si rivolge a un ampio pubblico femminile. Si può fare un giornale che venda cercando di dare alle donne un messaggio che non sia fuorviante?
«La sfida che ho accettato quando sono diventata direttore è stata quella di innovare. Credo che per un capo sia un dovere morale quello di attuare un cambiamento. Ma non uno qualunque, un cambiamento per andare avanti, lavorare sempre meglio, creare un clima adatto allo scambio, in cui le idee, la competenza e le voci di tutti possano essere ascoltate. Ho lavorato perché la redazione diventasse un corpo unico, in cui tutti abbiano ben chiaro il messaggio che vogliamo dare alle donne (quello che ho espresso anche in questo libro). Per evitare di fare errori nel veicolare questo messaggio è necessario lavorare in gruppo. Io sono tranquilla, perché se uno di noi sbaglia, ci sono gli altri pronti a cogliere le sfumature ed eventualmente correggere il tiro».

“Scriveva come una donna, ma come una donna che si è dimenticata di essere donna; sicché le sue pagine erano piene di quella curiosa qualità sessuale che appare soltanto quando il sesso non è consapevole di sé stesso.”

Così diceva Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé. Così cerca di dire Annalisa Monfreda alle sue due figlie. E, attraverso questo libro, anche a tutte le donne.

Eleonora Molisani @emolisani