Faccia a faccia con Bruno Vespa, che nel suo libro ci racconta l’Italia dei voltagabbana

10 dicembre 2014

Da 20 anni in cima alle classifiche dei best-seller, Bruno Vespa regala sempre veri e propri affreschi del costume e della politica nazionale. Italiani voltagabbana (Mondadori, € 20; e-book € 10,99) è il titolo del suo ultimo libro, un excursus che va dalla prima guerra mondiale ai nostri giorni, in cui ci racconta l’abitudine di un popolo a cambiare casacca secondo le convenienze, politiche e non.

Dalla frase canzonatoria: “Vincete le guerre con i soldati degli altri” in poi, gli italiani nella storia non hanno certo brillato per coerenza. Voltare gabbana è un difetto molto umano o particolarmente italiano?
«Una cosa non esclude l’altra. È molto umano, ma anche molto italiano. Da sempre veniamo considerati piuttosto inaffidabili come popolo, basti pensare – solo per parlare dei fatti più recenti – ai 200 parlamentari che hanno cambiato casacca nella scorsa legislatura e ai 76 che l’hanno cambiata anche in questa, in un anno e mezzo».

Pensa che il vincolo di mandato darebbe più garanzia agli elettori?
«Sarei d’accordo a una limitazione della possibilità di cambiare idea e schieramento dopo essere stati eletti, per rispetto nei confronti dell’elettore, che in questo modo rischia di vedere il suo voto disperso e quindi venir meno la rappresentanza delle sue istanze».

Cambiare casacca: è un atteggiamento più comune alle donne o agli uomini? E quali sono le donne attualmente considerate voltagabbana?
«A parte Maria Elena Boschi e Simona Bonafé, renziane della prima ora, le altre donne del governo Renzi sono state accusate di essere salite in corsa sul carro del vincitore: parlo di Federica Mogherini, Marianna Madia, fino alla mobilissima Alessandra Moretti. Ora sono fedelissime al premier e, a chi le accusa di aver espresso opinioni poco lusinghiere su di lui in passato, rispondono: “Ci ha convinto. Ci ha conquistato!».

Nel suo libro Francesca Pascale racconta per la prima volta nei dettagli il suo sodalizio con il Cavaliere. Come mai ha voluto raccontare la sua storia?
«Meritava di essere nel libro per essere il contrario di una voltagabbana. Segue Silvio Berlusconi e lo ammira da quando, a 16 anni, si nutriva di “pane e Canale 5” (parole sue). Il suo amore per la persona e la sua fede politica sono andate sempre di pari passo e, ora che è una donna di 30 anni, ha dato una nuova stabilità all’uomo Berlusconi e al partito, dopo le burrascose vicende, umane e giudiziarie delle cene di Arcore».

Una piccola previsione sul futuro. Secondo lei è prevedibile che la minoranza Dem si scinda dal partito di Renzi?
«Se ci sarà una scissione, sarà limitata. La maggioranza del Pd è ben consapevole che solo con Renzi il Pd, invece di pareggiare o perdere, ha stravinto. Ora la maggioranza è compatta e si rende conto che alcune cose vanno fatte, e subito. E non c’è scelta: per farlo conviene restare uniti».

Da Mussolini fino a Berlusconi, Prodi, Bossi, Letta, Grillo. Non si salva proprio nessuno dai voltagabbana?
«No, è la regola dei potenti. Da che mondo è mondo. L’ingratitudine è un’altra delle debolezze degli esseri umani e qui in Italia è molto diffusa perché siamo un Paese giovane, dove anche il senso delle istituzioni è fragile. L’ho anche detto a Renzi: “Nel momento in cui dovesse scivolare, nessuno l’aiuterà a rialzarsi”.

Dal 1996 Porta a Porta è il talk show più seguito. In Italia ci sono almeno venti trasmissioni politiche ma la sua sembra una delle poche a tenere botta. Come se lo spiega?
«Forse ho capito, prima di altri, che la gente è stanca delle parole e ora vuole i fatti. Parlo di politica non più di mezz’ora e il resto del tempo è dedicato alla cronaca, al costume, ai problemi reali della gente. Considerato che siamo anche in una fascia penalizzata, quella delle seconda serata, mi considero molto soddisfatto».

di Eleonora Molisani @emolisani