Il lockdown gli ha permesso di passare tanto tempo coi sui (saggi) gemellini. E ora Álvaro Morte torna con The Head, una serie da brivido
Rilassato e sicuro di sé. abbiamo incontrato Álvaro Morte su Zoom, ma la sua energia “buca” lo schermo del computer. Dopo la quarta stagione de La casa di carta su Netflix, è protagonista di The Head su Amazon Prime Video. Una serie completamente diversa: un thriller, a tratti quasi un horror, ambientato in una stazione di ricerca in Antartide. Morte interpreta il cuoco Ramon, un tipo inquietante. Per intenderci, non proprio uno con cui ti troveresti a tuo agio ad affettare le cipolle.
Ramon non è il protagonista della storia perché – è forse l’unica somiglianza con La casa di carta – la serie segue le vicende di un gruppo di personaggi di pari importanza. Una conferma del fatto che Álvaro ha più bisogno di credere in un progetto che di accarezzare il proprio ego. E l’ha dimostrato anche rifiutando un grosso ruolo in un film di Hollywood perché non era convinto della sceneggiatura.
Sorride Álvaro Morte mentre racconta che la pausa forzata del lockdown gli ha permesso di trascorrere parecchio tempo a casa con la moglie, la stilista Blanca Clemente, e i loro due gemelli, Julieta e Leon, di 5 anni. «Il lavoro mi aveva tenuto a lungo lontano. Stare con la mia famiglia per un po’ era esattamente quello che desideravo».
Da quanto non ti capitava di stare tanto tempo a casa?
«Vediamo… a partire da agosto ero stato impegnato fuori Madrid e, prima ancora, avevo lavorato alla quarta stagione de La casa di carta. È vero che giravamo in città, ma ero sul set tutto il giorno. I miei bambini alle otto di sera vanno a letto, non rimaneva molto tempo da passare insieme».
Che cosa ti piace fare con i tuoi figli?
«Giochiamo. E, più di tutto, imparo. È incredibile come siano capaci di darti lezioni di vita. Durante il lockdown, un mucchio di adulti erano insofferenti: “Non posso uscire, vorrei tanto fare due passi”, e così via. Invece, loro, a parte i primissimi giorni in cui si lamentavano di non poter andare al parco, si sono adattati benissimo. E hanno trovato il modo di divertirsi a casa».
A proposito, l’atmosfera di The Head è claustrofobica. È stato lo stesso sul set?
«Abbiamo girato a Tenerife, tra luglio e agosto. Faceva un caldo tremendo. Noi attori dovevamo indossare giacche, guanti e cappelli, tutta l’attrezzatura che si usa in Antartide. Mentre la troupe era in pantaloncini e infradito. È stata dura, ma ci ha aiutato: il disagio era simile a quello che si prova a 40 gradi sotto zero. Facevamo fatica a respirare, a muoverci».
The Head inizia e finisce in soli sei episodi, mentre interpreti il Professore de La casa di carta ogni anno dal 2017. Dev’essere stata un’esperienza del tutto diversa…
«Sì, ma non per la durata delle riprese. In La casa di carta così come nella serie Il molo rosso (andata in onda su Raidue, ndr), ti dicono che cosa succederà solo nelle prime due puntate, il resto lo scrivono mentre stai lavorando: navighi al buio. Io ero partito sapendo solo che il Professore era un nerd, super intelligente. Poi, un giorno, mi arriva il copione e scopro di dover fare un combattimento di arti marziali…».
Nessuno ti aveva avvertito?
«No. Devi essere pronto a improvvisare. Non dico che sia meglio o peggio, ma il modo in cui ti approcci alla recitazione è molto diverso».
Quando hai deciso di fare l’attore?
«Studiavo ingegneria delle telecomunicazioni all’università: ho sempre amato le materie scientifiche. Ma a un certo punto mi sono reso conto che non volevo passare la vita seduto a una scrivania. Avevo un paio di amici che lavoravano in una compagnia teatrale, stavano cercando musicisti per uno spettacolo. Ho cominciato così».
Che strumento suoni?
«La chitarra, anche se non sono mai stato particolarmente bravo. Ma ho una grande passione
per la musica. Qualche tempo fa ho comprato un pianoforte. Non ho ancora imparato a suonarlo».
La recitazione, insomma, è stata un colpo di fulmine?
«Rimasi affascinato dall’energia che si creava sul palco e tra gli attori e il pubblico. Mio padre all’epoca disse: “Per te, il teatro è un veleno. Come ti guadagnerai da vivere?”. Ma quando ha visto che ce l’avevo fatta non poteva essere più orgoglioso».
Hai chiamato la tua compagnia di teatro 300 Pistolas. Perché?
«Una citazione dai Tre moschettieri. È una risposta che D’Artagnan dà al cardinale Richelieu. In sostanza, significa: “Ho abbastanza coraggio da affrontare qualunque pericolo”».
È così che ti sentivi?
«L’ho fondata nel 2008. Eravamo nel pieno della crisi economica. Sapevo che sulla strada avremmo incontrato parecchi nemici e ostacoli, ma ero molto determinato. Adesso mia moglie e io lavoriamo insieme in una società di produzione. Sviluppiamo serie televisive e film».
Com’è mescolare famiglia e business?
«Bellissimo. Siamo una grande squadra perché io ho il massimo rispetto della sua opinione e lei della mia. Se dopo aver fatto tutto il possibile per convincerla di un’idea non ci riesco, la accantono. E viceversa. Adesso stiamo lavorando a due serie, e una delle due nasce proprio da un’idea di mia moglie».
A questo punto, Álvaro Morte si avvicina allo schermo, sorride e bisbiglia: «È bravissima. Però è meglio che non venga a sapere che l’ho detto».
Di Enrica Brocardo – foto Getty Images