21 marzo 2020

Javier Bardem: l’intervista e i suoi film da (ri)vedere a casa

«Sono nato incazzato nero. Devo aver urlato subito: “Mamma, checcavolo!!!”». Ride, Javier Bardem, ed è uno spettacolo guardarlo e ascoltarlo mentre si racconta con grande autoironia. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato ci ha parlato del documentario Sanctuary, prodotto da lui stesso, che lo ha portato tra i ghiacci dell’Antartide per vedere gli effetti del climate change e battersi perché i politici agiscano per frenarlo: il suo modo per incanalare la rabbia di cui parla ridendo. Del 51enne attore spagnolo potete trovare e rivedere i film a casa, a cominciare dal titolo che gli ha fatto vincere l’Oscar nel 2008: Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen è su Amazon Prime Video (insieme a Carne tremula di Pedro Almodóvar). Altri titoli ora disponibili, L’amore ai tempi del colera di Mike Newell (gratuito su Raiplay), Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen (Netflix) e altri tre su Sky: Mangia, prega, ama con Julia Roberts, Tutti lo sanno di Asghar Farhadi ed Escobar – Il fascino del male (questi ultimi due interpretati accanto alla moglie Penélope Cruz).

«È stato mio fratello Carlos a coinvolgermi nel progetto di Greenpeace. Ho accettato perché tutti possano vedere quello che succede attraverso i miei occhi di non esperto» ha detto parlando di Sanctuary (non si sa ancora dove si potrà vederlo in Italia). E al Festival di Berlino ha appena presentato The Roads Not Taken di Sally Potter, di cui non si sa ancora la data di uscita, dove interpreta un uomo caduto in stato confusionale e assistito dalla figlia (Elle Fanning). Poi lo vedremo nel fantascientifico Dune di Denis Villeneuve, tratto dall’omonimo classico di Frank Herbert. «Lì sono il leader di una tribù costretta a riciclare tutto per sopravvivere nel deserto. Uno scenario che, con il surriscaldamento del pianeta, potrebbe avvicinarsi alla realtà».

I momenti più emozionanti del viaggio in Antartide?
«Un giorno la nave ha spento i motori e ci siamo ritrovati, nel silenzio totale, davanti a quel paesaggio maestoso che pochi arrivano a vedere. E lì abbiamo sentito il canto delle balene. Io non sono religioso, rispetto per chi lo ma credo solo in Al Pacino (ride), ma quel momento per me mi ha avvicinato al senso del sacro».

Ti si vede anche tra i pinguini.
«Li sento simili: anch’io cammino, e sono impacciato, come loro!».

Con i tuoi figli parli di ecologia?
(Ha avuto da Penélope Cruz Leonardo e Luna, 9 e 6 anni, ndr).
«Sì, ma ho scoperto che sono più preparati di noi alla loro età, quando esistevano ancora le stagioni e non immaginavamo i problemi di oggi. Loro ne parlano a scuola, con gli altri bambini. E vedere l’impegno di Greta Thunberg mi fa sperare nel potere delle nuove generazioni».

Anche tuo fratello Carlos, con te in Sanctuary, è un attore. Siete molto legati?
«Ha sei anni più di me e, siccome io ero molto piccolo quando mia madre si è separata, è stato il mio punto di riferimento maschile in famiglia. Litigavamo, ovviamente. Ma ora siamo legatissimi».

Tua madre è attrice, come i nonni e lo zio. In una famiglia così, hai mai pensato di fare tutt’altro?
«Certo, tanto più che mia madre era rimasta disoccupata due anni ed era andata anche a pulire scale, per mantenerci. Quando l’hanno richiamata a teatro nel ruolo della regina Isabella, era nervosissima. Avevo 9 anni, l’ho vista vomitare in camerino e, un minuto dopo, uscire in scena da regina. E ho pensato che fosse un mestiere folle».

Quindi?
«Da adolescente studiavo pittura e belle arti. Per anni mi sono pagato gli studi anche lavorando come comparsa. Finché proprio mia madre mi ha preso da parte dicendomi: “Puoi farne un mestiere, sappilo, ma devi studiare e prepararti sul serio”».

Quando hai vinto l’Oscar, l’hai ringraziata pubblicamente.
«In realtà avevo preparato tre pagine di discorso con parecchi nomi da citare. Continuavo a rileggerlo con le mani tremanti. Ero seduto tra mia mamma e Jack Nicholson, che continuavano a parlarsi senza conoscere uno la lingua dell’altro, poi lui vedendomi teso mi ha detto: “Lascia perdere quei fogli, dedicalo solo a lei”. E così ho fatto».

Non è un paese per vecchi è stato il tuo ruolo più folle?
«Già, e un altro grande premio l’ho avuto da 56 psichiatri che, dopo aver guardato film usciti tra il 1950 e il 2010, hanno detto che lo psicopatico più credibile del cinema…. ero io!».

Qual è il segreto per esserci riuscito così bene?
«Ho uno psicopatico in me! Scherzi a parte, noi attori peschiamo nel caleidoscopio di personalità che ognuno di noi ha dentro. Portiamo all’estremo delle potenzialità. Ma la differenza tra me e un vero malato di mente è che io ho un biglietto di andata e ritorno dalla follia».

Di Valeria Vignale