In Un ragazzo normale (Feltrinelli, € 16,50) Lorenzo Marone racconta una storia di amicizia e di coraggio, dedicata al giornalista Giancarlo Siani, giustiziato nel 1985 dalla camorra.
“A 12 anni ero amico di un 25enne. Si chiamava Giancarlo e, nonostante le mie insistenze, diceva di non essere un supereroe”. Chi parla è Mimì, protagonista di Un ragazzo normale, nuovo romanzo di Lorenzo Marone, che nel 2017 ha vinto il premio Selezione Bancarella con Magari domani resto. Figlio di un portiere del Vomero, Mimì è un ragazzo sveglio che sogna di diventare come Giancarlo, il suo vicino di casa giornalista, che combatte il male armato solo di carta e penna.
Giancarlo è Giancarlo Siani, il giornalista de Il Mattino che cadrà vittima della camorra nel 1985. Nei mesi precedenti al 23 settembre, il giorno in cui verrà ucciso, e nel piccolo mondo circoscritto dello stabile del Vomero (“Trenta piastrelle di portineria che proteggono e soffocano al tempo stesso”), Mimì diventa grande, scopre l’importanza dell’amicizia e dei legami veri, i palpiti del primo amore, il valore salvifico delle storie e delle parole. Perché i supereroi forse non esistono, ma il ricordo delle persone speciali e le loro piccole grandi azioni restano.
Perché tornare a parlare di Giancarlo Siani?
«In realtà questo libro non è “su” Siani ma è “con” Siani. Siani era una faccia buona di Napoli, città che ha sempre bisogno di facce buone. Un ragazzo normale, amante del suo lavoro e della verità. Non esistono superpoteri, supereroi, e nemmeno eroi. Esistono persone migliori di altre, che ci credono di più e combattono per cambiare le cose. Gli eroi, come dice la nonna di Mimì, sono solo quelli che ogni tanto fanno la cosa giusta e poi tornano a essere uno qualunque. Quelli dei nostri tempi sono persone normali, che combattono per cambiare le cose. Siani era davvero il mio vicino di casa, e già 30 anni fa parlava dei cosiddetti muschilli, i giovani che si perdono per mancanza di buoni maestri».
È stato un maestro per lei?
«Sì, gli esempi, i riferimenti, sono importantissimi, oggi più che mai. Lo stiamo vedendo in queste ultime settimane proprio nella mia città, Napoli, dove ragazzini senza guide e famiglie alle spalle eleggono soggetti sbagliati come modello, e si perdono in strade senza via di uscita. È importante la famiglia, innanzitutto. Se una famiglia è presente, se al ragazzo sono stati inculcati i giusti valori, saprà poi quali ulteriori figure positive scegliersi come icone, eroi, punti di riferimento».
Da ex avvocato, ma anche con l’occhio attento e sensibile dello scrittore, come vede la situazione di Napoli, alla luce dei fatti recenti che coinvolgono così pesantemente le giovani generazioni?
«Giancarlo più di 30 anni fa già parlava di “muschilli”, di devianze, della piccola criminalità. Napoli è sempre la stessa purtroppo, cambia per non cambiare mai. Ci vorrebbe un intervento radicale, qualcuno dovrebbe prendersi la briga di aprire una porta a questi ragazzi figli di nessuno per mostrare loro uno spiraglio, la possibilità di una vita diversa, di altre strade da prendere. Bisognerebbe investire sui giovani, sui bambini, accoglierli, gestirli e aiutarli nei loro primi anni di vita, nei quali si formano in tutto e per tutto».
La sua, però, è una storia di speranza…
«Volevo rimarcare la forza delle parole, della scrittura, dei libri, della cultura in generale: unico vero strumento utile a salvare le piccole anime perse o che si stanno per perdere. C’è bisogno di educazione, non di repressione. E la cultura è l’unico strumento per salvare le nuove generazioni».
Eleonora Molisani @emolisani
Foto di: Adolfo Frediani