Non lasciare la mia mano, di Michel Bussi (Edizioni E/O, € 16) è un thriller che parte in modo decisamente spiazzante. Si indaga su un omicidio ma manca il cadavere di Liane Bellion, giovane donna in vacanza con il marito Martial e la figlia di sei anni, Sofa, a Réunion, isola tropicale dell’Oceano Indiano. La donna scompare dalla sua stanza d’albergo e Aja Purvi, comandante della polizia locale, e il suo braccio destro Christos Konstantinov, si mettono sulle tracce del marito, inspiegabilmente scappato con la figlioletta su una macchina a noleggio…
Che fine ha fatto Liane? Come riuscire a scovare i due fuggiaschi, nel dedalo di un paradiso tropicale?
Dopo il bestseller Ninfee Nere, ambientato in Normandia, sua terra di origine, Michel Bussi, docente universitario di geografia politica prestato alla scrittura, torna con un giallo originale e avvincente, dallo stile denso ed evocativo. Lo abbiamo incontrato al Salone del libro di Torino e abbiamo parlato del suo recente successo mondiale, dopo anni di tentativi di pubblicazione falliti…
Dopo i suoi primi due bestseller, ambientati
in Normandia, perché ha cambiato scenario?
«In questo libro il vulcano, la foresta, la barriera corallina, i nativi di ogni razza e di diverse religioni, sono parte integrante dell’intreccio. Volevo uno sfondo di grande personalità: voglio divertirmi quando scrivo».
Perché ha scelto l’isola di Réunion?
«Me ne sono innamorato da turista. È un’isola unica al mondo, la metafora della globalizzazione, dove convivono pacificamente dal ‘600 bianchi e neri, cristiani, ebrei e musulmani; dove la moschea sorge non lontano da una statua della Vergine Maria, senza che ci sia il minimo cenno di razzismo o intolleranza. Proverbi e superstizioni, preghiere e cibi esotici, contaminazioni linguistiche ed etniche, meticciato, la Francia lontana 9000 chilometri ma sempre presente. Sole, cannabis (molto consumata, da tutti), rum, curry e una natura avvolgente e totalizzante attorno».
Impossibile parteggiare per uno dei personaggi della storia, perché nei suoi gialli mancano i “buoni buoni” e i “cattivi cattivi”…
«La realtà può essere interpretata da diversi punti di vista. Ogni personaggio del libro ha una sua verità. Anche un “malvagio” può essere spinto da buone ragioni. Io faccio parlare tutti, qui dò voce anche alla figlioletta di sei anni».
Dopo anni di tentativi non solo ha coronato il sogno di pubblicare ma è diventato un autore di bestseller. Come è andata?
«Sono uno studioso di geografia politica, insegnante universitario, ma ho sempre coltivato l’amore per la lettura e per la scrittura. Scrivo da vent’anni ma nessun editore ha mai voluto pubblicare i miei libri. Il mio primo romanzo è stato 10 anni nel cassetto, mi piaceva, quindi ho insistito e due anni fa qualcuno mi ha dato fiducia. Il resto lo hanno fatto i lettori. Però ora che mi trovo dall’altra parte della barricata temo le trappole del successo: la prima è che ho aspettative sempre maggiori, perché credo di poter fare sempre meglio, sono un megalomane. La seconda è che ho sempre paura che tutto possa finire all’improvviso».
Molti grandi autori hanno un detective di riferimento. Noi ritroveremo i pittoreschi Aja e Christos nella prossima indagine?
«No, non amo i detective seriali. E poi mi piace calare i miei intrecci in posti e culture sempre diversi».
Eleonora Molisani @emolisani